Premessa di Giorgio Agnisola
Subito prende, della poesia di Angelo Cianci, un senso come di tesa e sottilmente drammatica ricerca di sé: una ricerca che si consuma tutta all’interno degli spazi dell’essere, che anzi dell’essere fa il punto di forza e di limite della propria esistenza, di accettazione e di negazione, entro un dualismo ideologico ed espressivo in apparenza lieve, descritto con pudore, in realtà teso, lacerante, inconcluso (…sento bussare / nell’animo mio / il pianto, la speranza, / il grido alla vita / di coloro che cercano / di ritrovare se stessi).
Pure, nulla sembra a primo sguardo agitare la superficie del verso, che si snoda leggero, segnato da un timbro sommesso della voce interiore, accorata e trattenuta, mai ridondante, mai esuberante, composta, dignitosissima. Sicché la forma di questo esplorarsi ed esplorare appare alla fine di una semplicità disarmante, che riflette un quieto rimordere della coscienza, un affannoso adattarsi alla vita che è stata, che sarà, un cogliere inquieto di quei segni di mistero che la vita tende come un arco teso nella sensibilità e nella coscienza.
La condizione del poeta si divide tra staticità e dinamismo, la staticità del pensiero, il dinamismo della parola: una parola metaforica che annette le emozioni ed i sentimenti del profondo, che riverbera i motivi intimi, dolorosi e solari, della vita, che consegna quella vena di tristezza smagata e persistente che attraversa come una vena sotterranea tutta la poesia, ma che è anche vigilia attesa di un riscatto, come di “superbi animali / a guardia delle tempeste.È il dramma del dubbio (Se potessi nel tempo / trovare l’utilità dell’essere), della condizione interiore di chi sulla soglia del cuore attende la luce. Oltre è il mistero, impenetrabile, infinito. Da questo scarto tra l’essere e il sentire deriva un sentimento di intensa pietà umana: “Non corpo sembrava / ma ombra riflessa sul muro”. E qui la poesia di Cianci ha versi tiepidi, partecipi, dolcissimi: come un quieto affollarsi della voce commossa, come un riflesso ondulato della coscienza addolorata. Il dialogo allora, il dialogo con l’altro da sé, con chi si ama diventa come l’emblematico percorso di una storia interiore, come la salvezza possibile in un comune destino.
Ma resta il mistero. La soglia del possibile si scontra con la soglia dell’inconoscibile (Beffardo tempo /perché non ci sveli uI segreto che nascondi/dietro le quinte /quando cala il sipario /sul palcoscenico della vita…). Il pensiero dell’oltre giunge come un tormento nel cuore che è vissuto “ora dopo ora / alla ricerca del sapere “. Sicché la vita è sospesa tra tristezza e infinito. L’immaginazione si proietta sul dopo: “Quando i miei passi / non faranno più rumore / … / né il grido d’amore / sarà più dipinto /sulle acque argentate”. E il poeta chiede all’infinito di adagiarlo “sull’isola sconosciuta”.
È il silenzio infine a far da trama a questo universo interno che distilla grani di pietà per sé, per gli altri. Quel silenzio che oltre la soglia, nel varco della luce, tutti accomuna, tutti accoglie nel suo “invisibile mantello
Giorgio Agnisola