Da il Lunario, recensione di Sebastiano Amato

I doni del tempo

Il Lunario, Enna 1998

Memoria e confessione, ricordo e bilancio, coscienza di ciò che è stato e di ciò che è, viatico per il viaggio che resta, accettazione di ciò che sarà.

Angelo Cianci, turbato e al tempo stesso sereno nell’accettazione dell’esistenza, si presenta e ci presenta il suo conto del passato e il suo credito per il futuro, che in agguato lo attende e lo sfida. Egli vive l’indecifrabile presente, non si arrende, ma sa che la sua vita acquista senso compiuto solo perché c’è stato il passato ed esiste quel filo sottile, che si svolge nel fluire del Tempo, che tutto trasforma in passato. E il passato può trasformarsi in forza capace di fargli attraversare il presente. L’unica possibilità dell’Io è che tutto diventi compresente. Il presente si illumina del passato e il passato vive nel presente: “un passato e un presente / chiusi in un cerchio di fuoco, / dentro sono io, / nessuno può entrarvi // né io mai / potrò uscirne.

Ora che il viaggio periglioso, in cui talvolta ha gioito e più spesso sofferto, volge verso la meta definitiva ed egli, nocchiero di una rotta che non sempre ha voluto e capito, è stanco e dispera, riaffiora più nitido il vissuto, i momenti e gli attimi illuminati dagli affetti più profondi e teneri. Il nocchiero, allora, si volge indietro per «rivivere» e capire chi è stato e dove è stato, perché così forse capirà dove si trova e il suo occhio, correndo, disgelerà l’approdo, dove, – non appagato, ma sereno giungerà. Ma non per questo egli conosce le coordinate della sua rotta, perché naviga sempre e comunque «a vista», con tutte le insidie e i pericoli che questo comporta.

Solo così, spera, giungerà al termine del viaggio, che pur si deve compiere, quando il passato, dimensione felice e perduta, mitica nella luce del tempo, epperò sentimentalmente incompiuta, che urge contro il doloroso presente, attraverso la «rimembranza» e il cammino à rabours troverà la «finitezza» nella trama delle parole, semplici e perciò vere e profonde, e nel ritmo dolente, ma dignitoso, della confessione, illuminati dal sole del tramonto. Allora lo sgomento per la sofferenza e il dolore degli uomini, la compassione, la paura del silenzio e della solitudine trovano, non dico, la possibilità della comprensione, ma almeno quella dell’accettazione.

La raccolta di Angelo Cianci non è altro, quindi che il tentativo di scoprirsi, di acquisire l’identità attraverso l’irripetibile peculiarità dell’esperienza. Emerge un frammento di esistenza che aspira a definire tutta l’esperienza esistenziale i questo poeta, che nella semplicità del dettato verbale e fonico trova la sua originale maniera per parlarci e attrarre.
Sebastiano Amato